Chloë Manasseh, I am the true vine

La Parola di Dio

Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

(Giovanni 15, 1-8)

Chloë Manasseh, I am the true vine

Commento

Il Padre pianta la vite, ne ha cura, la ama.

La relazione tra l’agricoltore e la sua vite è vitale. Anche quella tra la vite e i suoi tralci: tra essi scorre la linfa, dai tralci nascono i grappoli di uva.

I tralci ben attaccati alla vite sono vivaci, crescono rigogliosi ed esuberanti. Sono spesso disordinati (basta camminare in maggio tra i filari per vedere questa meravigliosa intraprendenza), non sempre danno frutti. Allora l’agricoltore li pota sapientemente, l’energia vitale si concentra ed essi sprigionano una potente forza creativa. Nella sofferenza del taglio c’è la cifra della mancanza, che deriva da una irriducibile perdita, della ferita che non si rimargina e segna per sempre; ma c’è anche la premessa per la fioritura, per la crescita e la maturazione di frutti buoni.

Il tralcio secco subisce passivo ciò che altri fanno di lui “è raccolto, gettato nel fuoco, bruciato”; i tralci verdi crescendo compiono l’opera del padrone della vigna, che non può fare a meno di loro.

Nel testo di Giovanni la parola più ripetuta è “rimanere”. Se abbiamo salutato una sola volta nella vita qualcuno a cui teniamo, da cui non avremmo mai voluto separarci, possiamo comprendere come questa parola sia pronunciata da Gesù e ripetuta e ripetuta per dirci che lui non ci abbandona. Sta a noi rimanere in lui. Se abbiamo sperimentato che cosa sia la presenza nell’assenza, l’aver portato dentro di noi, nel più profondo del nostro cuore, un’altra persona, sappiamo come scorra tra noi una linfa vitale.

Gesù ha appena chiamato i suoi “figlioli” (Gv 13,33): possiamo immaginarlo come l’invocazione, la preghiera di chi mi vuole, di chi mi cerca, di chi tiene a me e mi ripete che “sarà con me sino alla fine”.

Coloro che rimangono in Gesù ascoltano la sua Parola, non come memoria sterile di un fatto passato, ma come continua azione di conoscenza ( non secca), che esercita la coscienza a porre le domande (chiedete) su ciò che suona vero e giusto (ciò che volete) e questa verità e giustizia sarà fatta.

Anna Maria Fellegara

La vigna descritta nel Vangelo di Giovanni, allegoria dell’intimo legame tra Cristo, vera vite, e i suoi discepoli, è tradotta da Chloë Manasseh in esperienza visiva. Lo sguardo dell’artista si immerge tra i tralci e i frutti e sonda la dimensione organica di una natura simbolo di generazione e nutrimento, restituendone la profondità simbolica attraverso il libero dispiegarsi del colore.

La vitalità delle forme, che sembrano estendersi oltre i limiti della tela, rappresenta, per sintetiche corrispondenze, il crescere della vigna e il loro intrecciarsi allude all’unione dei tralci e alla loro dipendenza dalla vite, caricandosi di memorie visive che affondano in iconografie antiche.

Nella ricerca dell’artista, e in particolare nella sua riflessione sul paesaggio, in cui l’opera può essere inserita, la dimensione del ricordo produce uno scarto rispetto a una trascrizione descrittiva del percepito. Al coinvolgimento fisico ed emotivo e alla percezione più immediata della natura di un particolare luogo si sovrappone il filtro della memoria, che agisce come catalizzatore di immagini e allo stesso tempo interviene nell’analisi dell’esperienza del paesaggio e nella sua “riduzione” in forme semplificate.

Come nei dipinti realizzati recentemente in California durante la Joshua Tree Highlands Artist Residency, in I am the true vine il paesaggio del brano del Vangelo viene “decostruito” e tradotto sulla tela con un colore fluido che esprime la vitalità organica dei tralci e dei grappoli d’uva e con essa il significato simbolico sotteso, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza di pienezza visiva.

Chiara Mari

Autore

Chloë Manasseh – Londra, 1990

È un’artista specializzata in pittura e video. Ha conseguito il Master in Fine Art Painting alla Slade School of Fine Art, ricevendo la Euan Uglow Memorial Scholarship, e il Bachelor in Fine Art Painting con lode (First Class Honours) a Brighton (2012). Ha esposto in Malaysia, Stati Uniti, Israele, Regno Unito e Italia. Tra le mostre più recenti: “Grounded” alla Transition Gallery (Londra) e “Strange Land” alla galleria JTAG a Joshua Tree (California).

Opera

I am the true vine

2015

Olio su tela

Cm 183 x 183

Collocazione

Sede Largo Gemelli, edificio Monumentale, chiostro Benedetto XV

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